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Di Indipendenza, lampade e panini

L’indipendenza si paga.

Con la solitudine, e un fardello enorme di responsabilità da smazzarsi da soli, sulle spalle.

L’indipendenza è una delle mie caratteristiche principali; chiunque mi conosca credo usi come primo aggettivo “è una donna indipendente”. Una testa di cazzo cosmica viene subito dopo, naturalmente.

Ma probabilmente anche quello fa parte del pacchetto.

Con gli anni mi rendo conto che mi sto inasprendo.

Sono sempre meno tollerante, meno incline a concedere seconde possibilità, più esigente, e allergica al prossimo.

Sono troppo abituata a cavarmela da sola, a stare da sola, a prendermi oneri e onori delle mie scelte.

Mi chiedo quanto peso abbia tutto questo nelle mie decisioni, nella mia vita di coppia, nel mio essere madre.

Non sono mai stata fatta per la vita a due intesa come due cuori e una capanna, sono una sostenitrice convinta dell’individualità, i miei spazi sono sacrosanti, i miei amici ancora di più.

L’unica convivenza che ho intrapreso è naufragata, senza via di ritorno.

E l’unica convivenza che per il momento tollero è quella con un terremoto di quattro anni e mezzo che mette a dura prova tutte le mie convinzioni.

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Anche a lui sto trasmettendo questo gene dell’indipendenza, ma essendo una necessità, per ora Pu la vive come una forzatura.

E infatti è un coccolone, materiale ad alto contatto, che non ama stare da solo in nessuna circostanza.

Solo quando fa la cacca.

E spesso mi chiedo quanto lui stia subendo questa situazione, transitoria o chi lo sa?, che mi vede costretta a fare la mamma single, accollandomi moltissime responsabilità, anzi, proprio tutte, ma godendo di una straordinaria libertà.

Non avere una controparte con cui confrontarsi è liberatorio, soprattutto quando i confronti finiscono per sfociare in accese discussioni, ma non sono pochi i momenti di smarrimento.

A volte penso che sono la sola custode dei suoi ricordi d’infanzia.

E allora mi sale l’ansia.

Di fare foto, di scrivermi tutto quello che dice, di appuntarmi aneddoti che non potrò condividere con nessuno, di tenere nel cuore frasi e riferimenti che un giorno solo io potrò tirare fuori dal cilindro per dirgli “lo sai, da piccolo dicevi proprio così”.

La sua infanzia è nelle mie mani, ed è qualcosa di sacro perché io della mia ho ricordi netti e bellissimi.

Sento addosso la responsabilità di non sciupare qualcosa che dovrebbe essere perfetto ed inviolabile per ogni bambino, pur sapendo che sarà monca, come un arto amputato, di cui però percepisci ancora la presenza

E non voglio che in lui resti qualcosa di irrisolto.

Spero di essere capace di nascondere ai suoi occhi le mie insicurezze, trasformandole in risorse.

Ora mi godo il suo amore esclusivo, il suo cuore grande, il suo modo materiale di dimostrare affetto ed emozioni, con goffe pacche sulla schiena e abbracci che mi spezzano il collo.

Domani dovrò gestirmi da sola i nostri conflitti, le sue crisi adolescenziali e i suoi traumi, e ancora non so se sono pronta, ma ho il tempo per crescere insieme a lui, e tornare quindicenne, così come sono tornata bambina per amor suo.

Domani sarò il suo peggior nemico, e mi sto preparando a pararne i colpi.

Oggi sono la sua lampada e il suo panino, e tanto basta.

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